Eco-riflessione sul cambiamento collettivo come transizione ecologica

13.03.2023
www.univrmagazine.it
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C'è un'emergenza in corso, nel nostro Pianeta. Solo che non stiamo agendo come se lo fosse, perché quasi non ce ne accorgiamo, e andiamo avanti con le nostre vite come al solito. Quello che non sappiamo, è che siamo privilegiati, perché possiamo fare finta che l'emergenza non ci sia, o curarcene solo in determinati contesti e ambiti, quando non abbiamo altri impegni da portare avanti. Ma non per tutti è così. I milioni di persone che sono costrette dai cambiamenti climatici a lasciare il proprio Paese, le famiglie cui un tornado o un incendio hanno distrutto la casa, le popolazioni in guerra per l'acqua e una striscia di terra ancora fertile, ecco, loro non possono fare finta di nulla.

E, per dire la verità, se fossimo veramente consapevoli della portata della crisi climatica, anche noi avremmo paura. Perché la crisi climatica non è "soltanto" una crisi. É un insieme di problemi che da soli sarebbero gravissimi, e che congiunti divengono inimmaginabili.

Perdita di biodiversità. Erosione del suolo. Inquinamento delle acque potabili. Accumulo di gas serra nell'atmosfera. Plastica e petrolio dispersi in mare. Diffusione di epidemie. Perdita di terre fertili. Eventi climatici estremi. Migranti per cause ambientali. Discariche a cielo aperto. Povertà e carestie. Deforestazione. Urbanizzazione incontrollata.

Questi sono solo alcuni degli aspetti della crisi climatica, che spaziano dal tecnico al sociale, e che non possono di certo essere risolti semplicemente mantenendo l'innalzamento delle temperature globali sotto i 2 gradi centigradi o con il "net zero by 2050". Perché la difficoltà nella risoluzione di questa crisi risiede nel fatto che tutti questi aspetti sono collegati fra loro, e che per risolverne uno bisogna risolverne per forza anche un altro e così via.

"Non ci può essere giustizia climatica senza giustizia sociale" è solo uno degli slogan protagonisti nelle manifestazioni per il clima.

Quello che dobbiamo fare, secondo me, è sostanzialmente una cosa sola: cambiare.

Convertire l'energia da combustibili fossili a rinnovabile, azzerare le emissioni di gas climalteranti, porre un freno allo spreco alimentare, riforestare con specie endemiche per ricreare correttamente gli habitat persi, ripulire gli oceani dalla plastica e (cosa ben più ardua) dalle microplastiche, praticare agricoltura sostenibile (sostituendo ad esempio la lotta biologica ai fertilizzanti), ridurre drasticamente il consumo di carne e riconvertire gli allevamenti intensivi in allevamenti sostenibili.

E ovviamente tutto questo non si può fare quando tre quarti della popolazione mondiale vive in condizione di povertà, non ha accesso a cure sanitarie, acqua e cibo sicuri, istruzione.

La crisi è globale, e globalmente va risolta. I paesi ricchi, che finora non hanno fatto altro che sfruttare le risorse e le persone di quelli più poveri, devono cedere quella magra fetta di emissioni che ancora possiamo permetterci per permettere lo sviluppo di infrastrutture in quelli sottosviluppati. Infrastrutture come strade, ospedali, reti elettriche, scuole, acquedotti, che devono essere già pensate in un'ottica sostenibile per evitare di doverle, tra qualche decennio, sostituire con soluzioni più ecosostenibili.

E ovviamente tali innovazioni devono essere fatte, sul piano etico, garantendo i diritti umani a tutta la popolazione. Come possiamo guidare un'auto elettrica sapendo che dall'altra parte del mondo (che non è poi così lontana, a pensarci bene) una bambina o un bambino ha dovuto estrarre il litio delle nostre batterie, o che gli operai che lavorano ai pannelli solari sul tetto di casa nostra sono pagati in nero e non vengono loro garantite le condizioni di sicurezza? Non possiamo gridare per un mondo migliore senza aver prima eliminato queste contraddizioni. Ma il cambiamento va fatto. E va fatto oggi.

Tutto questo richiede fondi finanziari, una classe politica capace di comprendere la portata di questa crisi e affrontarla, ma soprattutto richiede, ancora una volta, un cambiamento. Un cambiamento delle persone, condizione necessaria anche se non sufficiente al cambiamento tecnico.

Siamo tanti, tantissimi. Nessun mammifero è più numeroso di noi, e solo i bovini, in termini di massa complessiva, superano la nostra. E, a pensarci bene, nemmeno loro sarebbero così numerosi se non ci fossimo noi. Ecologicamente parlando, siamo una pandemia, ovvero una specie che si riproduce e si muove nel mondo in modo estremamente veloce, con seri danni per le altre specie che lo abitano.

Ogni giorno 200 specie viventi si estinguono.

Tutto questo per dire cosa?

Per dire che la nostra esistenza ha un peso sul Pianeta, e se è vero che nessuno di noi sceglie di nascere, è anche vero che possiamo scegliere come vivere. Come viaggiare, cosa e quanto comprare, come mangiare e come comportarci con il prossimo.

Ma dobbiamo volerlo. Ogni cambiamento nasce dalla volontà di qualcuno e in questo caso deve essere collettiva. Una paura collettiva, una presa di coscienza collettiva, azioni collettive. Contrapponiamo al "Cambiamento Climatico" un "Cambiamento Collettivo" e impediamo a noi stessi di distruggere il nostro ecosistema e il nostro equilibrio.



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